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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Solo gattini

Sono stanco. D'ora in poi solo gattini.

Se non avete capito, ora vi spiego. Da anni, forse troppi, frequento Facebook con un certo spirito, ho sempre letto le discussioni politiche e talvolta mi sono inserito in discussioni animate su questo o quel fatto. Ora non ce la faccio più.
Sarà sicuramente per colpa mia, forse troppo a lungo mi sono illuso di avere idee politiche che progressivamente sono mutate, o forse non ho l'intelligenza per sfruttare correttamente il mezzo di comunicazione. Fatto è che ormai vivo tutto con ansia, è sufficiente una parola per scatenare commenti, dibattiti, litigi: quando è troppo, è troppo.

Per la mia professione mi tengo informato sul mondo accademico, e la maggior parte delle letture sono critiche contro il governo. Contro qualsiasi governo. Ho colleghi che sembrano passare la vita a spiegare al ministro in carica come far funzionare bene l'università e la scuola, salvo gridare allo scandalo quando il ministro in carica tira dritto per la propria strada. Sia chiaro, non sono scemo e ho le mie idee. Tuttavia nutro un profondo rispetto dei ruoli, e io non sono né parlamentare né ministro: faccio il mio lavoro, che non è quello di suggeritore di mondi migliori. Guai però a dire che un governo legittimo (secondo le leggi e non secondo la nostra sensibilità) ha il diritto di riformare, di cambiare, con il rischio di fare errori. Trovo piuttosto grottesca la presunzione di alcuni di avere sempre in bocca la verità e la soluzione perfetta.

Da semplice essere umano mi tengo informato sulla cronaca e sulla politica italiana ed internazionale. Peccato che appena mi azzardi a dire una mezza frase, si scatenino i convincitori di professione: quelli che vogliono farmi cambiare idea, e casualmente vorrebbero che iniziassi a pensarla come loro. Sarò libero di non voler scendere in piazza per questa o quella causa? No, perché adesso c'è sempre qualcuno pronto a scovare un link in cui si dimostra che ho torto a pensarla come la penso. Oggi è di moda il cosiddetto fact-checking, che poi sarebbe la verifica dei fatti. Dunque non posso essere favorevole al default della Grecia, perché i dati dimostrano che invece di dare soldi ai greci li hanno dati alle banche tedesche e inglesi. Embè? E se a me stesse bene così? Il fact-checking è sempre accoppiato ad una precisa visione politica, quando è applicato alla politica.

Faccio un esempio: i fatti dimostrano che spendere miliardi per un cacciabombardiere è una scelta sbagliata. Ma santa pazienza, e se invece stessimo preparando l'invasione del Principato di Monaco? Come lo facciamo, con il reddito di cittadinanza?
Ovviamente sto scherzando, ma i numeri restano numeri. Quello che conta è la politica, o l'ideologia.

Ma ora sto divagando, dunque torno sull'argomento. Ciò intendo dire è che Facebook è un'arena dove tutto diventa incontrollabile, e per me inadatto alla riflessione socio-politica. D'altronde sono un antico scettico rispetto all'altra moda dei nostri giorni: la politica fai-da-te. Dice: i politici li scegliamo noi, su internet, perché lì c'è la gente per bene.
Io non discuto che ci sia tanta gente per bene, ma essere per bene non basta a diventare buoni politici. Ci vuole studio, cultura, organizzazione. Io vorrei più scuole di partito, dove un tempo si imparava a fare politica con la testa invece che con le viscere. Potevi essere democristiano o comunista, socialista o repubblicano; però avevi una certa preparazione culturale.
Oggi i parlamentari dovrebbero essere reclutati su Facebook o sul blog di qualche santone, come i nuovi volti di Un posto al sole.

Riassumendo: d'ora in poi solo gattini. Scriverò che sono stato al mare o in montagna, pubblicherò qualche foto di gatti e di altri animaletti simpatici, farò recensioni dei libri che leggerò. Ma mi terrò lontano dai commenti politici: sto già provvedendo a rimuovermi da alcuni gruppi cui mi ero iscritto, e -- perdonatemi -- a nascondere i contributi di alcuni amici e conoscenti che reputo troppo politicizzati. Vorrei accedere ai social network senza l'ansia di sentirmi bollare come comunista, fascista, stupido o disinformato solo perché ho le mie idee. Ho appena passato otto giorni con un uso minimale di internet: solo posta elettronica e qualche occhiata ad alcuni siti, spesso per lavoro. Non serbatemi rancore, ma ho scoperto di non voler essere un militante in servizio permanente.

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