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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

In un mondo tutto suo

Ieri sera stavo guardando una puntata di Un posto al sole: Rossella, appena conclusi gli esami di maturità, deve decidere quale facoltà frequentare (sorvoliamo sull'uso improprio del linguaggio, giacché le facoltà non esistono da cinque anni e comunque ci si immatricola ad un corso di laurea). La sua scuola ha organizzato un incontro con alcuni presunti esperti di diverse aree, che dovrebbero mostrare ai giovani maturi le prospettive delle varie lauree. Rossella racconta che c'era un magistrato in rappresentanza della laurea in giurisprudenza, un ricercatore di filosofia che però "sembrava vivere in un modo tutto suo", e infine Ornella, medico ospedaliero nonché protagonista della stessa serie.

A questo punto mi sono fatto due domande: quanti diciannovenni aspettano di essere (burocraticamente) maturi per decidere quale corso di laurea seguire? E come prendono la loro decisione? Prima di proseguire apro una parente (citando Totò), osservando che queste iniziative fondamentalmente pubblicitarie presso gli istituti superiori sono meritevoli ma senza esagerare. D'altronde il presunto esperto di turno può solo testimoniare la propria esperienza, adducendo quindi elementi altamente specifici. Chi può rappresentare la laurea in filosofia, o in chimica, o in ingegneria? Chiusa parente.

Essendo questo un blog ideologico, agli antipodi del famigerato fact checking che pretende di giustificare con la statistica anche le leggi delle XII tavole, alla prima domanda rispondo con il classico: Non sa, non risponde. Essendo ideologico, aggiungo però che scegliere il proprio futuro due mesi prima dell'inizio delle lezioni mi sembra poco saggio. Possibile che a diciannove anni non si sappia scegliere fra medicina e lettere?

Alla seconda domanda temo, ma sempre senza fatti statistici e interviste telefoniche di supporto, che troppi scelgano un po' a caso. In particolare temo che i nostri diciannovenni abbiano perso l'indispensabile passione. La crisi economica (che in Italia insiste da venti e più anni, altro che la bolla dei subprime del 2008) e una mentalità nazionale piuttosto medioevale hanno privato i ragazzi del diritto di seguire l'istinto, la passione. E questo è drammatico: qualunque cosa diventa più semplice, se vogliamo farla con passione.
Al contrario, studiare per forza si rivela presto un'attività onerosa e forse spiacevole.

Quando avevo l'età di Rossella sicuramente avevo preso la decisione di iscrivermi al corso di laurea in matematica. Altre materie mi piacevano, avrei potuto frequentare Lettere, ad esempio. Forse anche Lingue Straniere. Ma la matematica... mi piaceva di più! Con l'incoscienza dei diciannove anni, ma anche con qualche speranza che oggi non esiste più, sono andato in segreteria a Como e mi sono immatricolato. Delle materie scientifiche ho scelto la più inutile fra le utili: la matematica è dappertutto, ma pochi se ne accorgono. Tutti sappiamo di essere immersi nella fisica, nella biologia, nell'ingegneria, nella chimica; pochi ricordano che siamo anche immersi nella matematica. La matematica è fondamentale, ma per il passante è assolutamente inutile.
E poi è vero, il ricercatore di matematica ha il grande privilegio di poter spesso vivere in un mondo tutto suo. Ora immagino già qualche collega applicato che vorrebbe convincermi che sbaglio, perché la matematica serve all'industria e all'economia. Io non mi sento affatto applicato, quindi amo "stare nel mio ufficio a fare le mie equazioni" (cit.) Forse un giorno i miei teoremi serviranno a scopi concreti, ma per il momento lo ignoro.
So che un ricercatore medico o biologo può contare su soddisfazioni umane che a noi matematici sono pressoché precluse. Non ci ricompensa il sorriso di un paziente che trae sollievo da una nuova cura, né la gratitudine di chi ritrova una gamba o un braccio grazie ai progressi dell'ingegneria e dell'informatica. Pazienza, almeno non dobbiamo usare le nostre capacità per vendere polizze ad alto rischio o azioni tossiche alla povera gente. Non dobbiamo nemmeno nascondere i danni alla salute causati da una ferriera o da un'azienda che disperde sostanze cancerogene nell'ambiente.

Ecco, se mi chiedessero di andare nelle scuole a pubblicizzare la laurea in matematica, probabilmente farei crollare il numero di immatricolazioni. Quasi tutti i ragazzi vogliono fare qualcosa di concreto, perché sono sognatori o perché sono interessati al denaro. Io parlerei di dimostrazioni che tengono svegli la notte, di punti critici e di soluzioni di minima energia per equazioni non lineari. Insomma, potrei fare una strage: sarà per questo che non mi impegno nella pubblicità.

E comunque vadano le cose, di sicuro Rossella non studierà matematica. Ho paura che andrà ad aumentare il numero dei cosiddetti esperti di scienze umane, quelli che invece di guardarsi l'ombelico guardano il nostro. Ognuno ha le soap che si merita.

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