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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Il cliché del matematico

Un aspetto vagamente inatteso del mio profilo di lettore accanito è la (quasi) totale assenza di interesse per i libri di divulgazione matematica. Orpo, direte voi: sei un matematico, con la matematica ci mangi! Possibile che non ti piacciano i volumi piero-angeleschi che parlano delle meraviglie della tua disciplina?

La risposta è: no. O almeno quasi sempre, salvo un numero estremamente ridotto di eccezioni. Sarà che, va da sé, uno dei pochi trucchi per vendere libri che parlano di matematica è presentarli dicendo
Minchia Sabbri, c'è un'equazione che spacca!
oppure inserendo storie tristi e morbose (malattie mentali, menomazioni fisiche, proprietà paranormali e telecinetiche) dei matematici protagonisti. Sarà per tutti questi motivi, ma sinceramente i libri di matematica per il grande pubblico mi danno lo sconforto.

In questi giorni sto leggendo un romanzo un po' particolare, del quale non svelo ancora il titolo: se mai avrò la pazienza di arrivare all'ultima pagina, potrebbe scapparci una recensione. Ma possibile, dico io, che l'autrice narri la storia di un giovane, figlio di due professori di matematica, che da bambino componeva i puzzle al contrario (in senso fisico, cioè guardando il dorso grigio dei pezzi), seppelliva le mosche nei vasi di fiori dopo averle catalogate in base quattro (gruppi 0, 1, 2, 3), e scomponeva i numeri interi in somme di quadrati? E naturalmente (!) arrivava a scuola con uno studio statistico sulle risposte dei compagni alla domanda "Scegli un numero", sottolineando che i numeri dispari piacciono di più di quelli pari. Il suddetto fanciullo, da bravo figlio-di-matematici, rispondeva "$n$, un numero qualunque è $n$."

Ora, io sono un matematico, e se avessi un figlio o una figlia così mi rivolgerei senza indugio ad uno specialista. Di quelli bravi, però!
Battute a parte, la categoria dei matematici è, letterariamente parlando, un sottoinsieme dei Freaks di Tod Browning: fenomeni da baraccone o sfigati repressi. Leggiamo e guardiamo storie di poliziotti (apparentemente deficienti ma) eroici, di avvocati che ribaltano le ingiustizie della società, di fisici che salvano il mondo inventando la bomba ad idrogeno, perfino di ingegneri (quelli che, nelle barzellette, dimostrano i teoremi solo nei casi particolari che funzionano) che inventano oggetti rivoluzionari. Invece il matematico è sempre un po' ritardato, imbranato con le donne (sì, perché le donne matematiche semplicemente non esistono, o al limite insegnano le frazioni alle scuole medie), incapace di allacciarsi le scarpe senza l'aiuto della mamma.

E intanto gli editori ci marciano, pubblicando libri dovi si afferma che il modello più semplice di dinamica delle popolazioni prevede che "la crescita della popolazione sia proporzionale al numero di individui già esistenti, cioè una crescita esponenziale." Ora, Piero Angela ha detto, in prima serata su Rai Uno, che la quantità $y$ e la quantità $x$ sono (direttamente) proporzionali se il rapporto $y/x$ è una costante diversa da zero. Invece la quantità $y$ cresce esponenzialmente con $x$ se sussiste un legame del tipo (semplificando al massimo) $y=a^x$, con $a \in (0,1) \cup (1,+\infty)$.
Ma tanto, chi se ne importa? Forse il lettore cerca la correttezza delle informazioni? Ma va là, il lettore vuole la storia di un matematico asociale che sa dire ai commensali quanto devono pagare la birra e la pizza alla fine della cena. Amen.

Commenti

  1. Caro prof. Secchi,

    purtroppo non sanno che solo sotto determinate "condizioni" è possibile generalizzare un affermazione, ovvero un argomentazione (temi del di 4° e 5° anno del liceo).
    Qui il problema è che non si ha la minima consapevolezza di cosa sia un modello lineare, concetto che anche i cosi detti "Umanisti" dovrebbero conoscere.

    Buon lavoro

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