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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Matematica di base

Ho ricevuto in visione il recentissimo testo Matematica di base di Anna Maria Bigatti e Lorenzo Robbiano. È un volume piuttosto snello, di 240 pagine, quindi in netta controtendenza rispetto alla manualistica in voga.

Dopo averlo sfogliato, e dopo averne letto alcune parti con maggiore attenzione, devo confessare di essere simultaneamente incuriosito e perplesso. Il fatto è che i due autori, entrambi genovesi con lunga esperienza didattica, si vantano di aver scritto un manuale di matematica per i corsi di laurea scientifici; e tuttavia sembra di avere in mano una raccolta di pillole ad alta digeribilità. Ad uno sguardo più attento, questa sensazione è in parte confutata, ma resta lo "scandalo" di un libro di matematica totalmente privo di dimostrazioni. Riporto una frase dall'introduzione:
Ricordandoci chea scuola guida insegnano a guidare e non la chimica della combustion, abbiamo seguito l'idea che lo studente di scienze debba capire come funzionano gli strumenti matematici e imparare a conoscerli e usarli correttamente, senza necessariamente conoscerne i meccanismi interni e le dimostrazioni.
Ecco giustificata appieno l'assenza delle dimostrazion, che però costituiscono la vera particolarità della matematica fra le scienze (e che, a mio modesto avviso, avvicina la matematica più alle discipline umanistiche che a quelle scientifiche).
Certo, il metodo di lavoro di un fisico o di un biologo è sensibilmente diverso da quello del matematico (puro o applicato, non fa differenza), essendo largamente sperimentale. La mia perplessità nasce esattamente a questo punto: è veramente auspicabile che lo studente di geologia o di scienze ambientali non si confronti mai con uno schema di pensiero diverso da quello che (ragionevolmente) predilige?

La risposta non è scontata, e so bene di essere un matematico piuttosto conservatore rispetto al metodo didattico. Seguendo il manuale di Bigatti e Robbiano, un ipotetico insegnamento di matematica si ridurrebbe all'apprendimento mnemonico di formule e regole, seppur affiancate da un congruo numero di esercizi esplicativi. Ricordo ancora con terrore la spiegazione del quadrato del binomio: $(a+b)^2 = a^2 +2ab + b^2$. Perché? Perché è così, basta ricordaselo. Tutto ciò mi è sempre sembrata una mortificazione della disciplina matematica, più che un'innovazione pedagogica.

Innovazione per innovazione, perché allora non considerare la completa abolizione dei corsi di matematica nelle lauree non matematiche/fisiche/ingegneristiche? Sinceramente, quanti laureati in agraria dovranno calcolare integrali impropri nel prosieguo della loro carriera?
Poi, per carità, tutti noi docenti di matematica in corsi di laurea non eccessivamente matematizzati sappiamo che, di fronte alla platea degli studenti, non possiamo soffermarci sulle dimostrazioni rigorose di ogni affermazione (come faremmo in un corso avanzato per matematici o fisici). Però sono convinto che i contenuti di una lezione frontale non debbano necessariamente coincidere con i contenuti del libro di testo, che anzi dovrebbe contenere più dell'essenziale e con maggiore dettaglio.
In questo modo, quegli studenti che non si accontentassero della spiegazione spesso "alla buona" di un teorema difficile potrebbero approfondire e magari apprezzare il metodo deduttivo con il suo rigore.

Riassumendo, il testo di Bigatti e Robbiamo contiene spunti pedagogici tutt'altro che trascurabili. Ma forse è più adatto al docente che al discente.

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