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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Tornando a casa, come una volta

Non si può dire che io un nemico dell'informatica e della tecnologia (ehi, sto scrivendo questo post sul mio nuovo iPad, uso internet dal 1998 e me la cavo con la tecnologia in generale). Talvolta, su Twitter, prendo in giro qualche professionista dei nuovi mezzi di comunicazione con la vecchia litania del ritorno alla vita reale, quella di una volta. E mi prendo la mia dose di commenti sarcastici.

Questa settimana ho voluto fare un esperimento: a casa niente internet. Ora, sia chiaro: esco alle 8 e rientro dopo le 18, quindi non possiamo parlare di disintossicazione. Eppure mi sono riappropriato di quelle due ore prima di cena che ormai se ne andavano in banali navigazioni su siti inutili, qualche controllo dell'email e dei network sociali.
Da lunedì a venerdì, fino alle 20, mi sono dedicato alla cara, vecchia lettura. Di libri stampati su carta o di ebook, ma rigorosamente offline. Il risultato è che ho letto due libri, un ritmo più che doppio rispetto alle mie abitudini. E quelle due ore serali sono volate. Ho fatto quello che facevo da ragazzo, al ritorno dall'università. Leggevo Topolino, ascoltavo musica, telefonavo a qualche amico.

Proprio mezz'ora fa leggevo un articolo su un quotidiano che avanzava una tesi un po' sinistra: tutti saremmo dipendenti da internet, e dunque drogati. Mi sembra troppo, ma un fondo di verità c'è. Quando ci imponiamo di restare scollegati, la prima sensazione è di ansia: e se arrivasse un messaggio importante? E se mi perdessi una notizia fondamentale?
Voi potreste essere fra le poche persone che realmente devono essere perennemente reperibili. Io non lo sono, e nessun ha il diritto di biasimarmi quando decido di non leggere la posta dopo cena o la domenica pomeriggio. Senza integralismi, per carità; ma anch'e senza sensi di colpa. In fondo, quei due libri mi hanno dato più soddisfazione di tanti siti e di tanti tweet.

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