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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

La nuova politica

Prendo spunto dagli eventi politici di quest'ultima settimana (la fine del governo Letta, l'irruzione di Matteo Renzi) per alcuni commenti. 

Mio padre, elettore (finora) convinto di PCI, PDS, DS e PD, è rimasto sconvolto e indignato per lo stile, o meglio per la mancanza di stile, con cui Matteo Renzi ha scalzato Enrico Letta dalla guida del governo. Lo considera un avventuriero della peggior razza, un bieco opportunista che a parole ti sostiene ma nei fatti ti pugnala alla schiena.


Innanzitutto vorrei ringraziare la rubrica odierna di Michele Serra sul quotidiano La Repubblica, perché mi ha fatto capire definitivamente che sono un conservatore. L'argomento di Serra è il seguente: se liquidate il comportamento di Renzi con una frase come "la politica non è affare da educande, ed è sempre stato così", allora siete conservatori. Infatti una persona di sinistra non smette mai di avere fiducia nell'ingentilimento dei modi. Mi viene di aggiungere: e nella pace mondiale, nell'equa distribuzione della ricchezza, eccetera eccetera. 


La mia sensazione è che Renzi sia figlio della sua/nostra epoca, dominata dal modello culturale statunitense. Non so quanti film abbiate visto sulla politica americana, l'ultimo che ho visto io è Le idi di marzo. Vi sarete accorti che le peggiori nefandezze sono perpetrate proprio dai compagni (o colleghi) di partito. Dello stesso partito. Nella corsa alle primarie scorre il sangue: accuse di immoralità vera o presunta, cinici scambi di insinuazioni, pressioni al limite del ricatto.


Un modo di fare politica tradizionalmente diverso da quello italiano. Da noi i partiti cercavano la compattezza (un partito è compatto se è chiuso e limitato), la condivisione degli intenti. Salvo poi impallinare i propri esponenti dopo pochi mesi di governo. Negli Stati Uniti, salvo alcune eccezioni che potrebbero confermare la regola, la guerra fratricida viene prima della vittoria elettorale. È piuttosto raro che un presidente americano sia sfiduciato dal proprio partito, mentre è costantemente attaccato dagli avversari.


Ecco, forse Renzi è cresciuto sotto l'egemonia culturale americana, come in fondo tutti noi che abbiamo più di trent'anni e meno di sessanta. Si è comportato come il tipico candidato alle presidenziali dei film: si corre per vincere, per imporre la propria visione al partito, e non viceversa. Ormai la politica è così, personale ed egocentrica.

Non so quale modello sia migliore, né se sia ragionevole fare una graduatoria. Il personalismo ha tanti difetti, ma anche la fedeltà oltranzista al proprio partito (quanti italiani hanno provato a votare per schieramenti opposti, nella loro vita?) induce alla difesa della rendita di posizione. 

Gli italiani difficilmente leggevano i programmi elettorali dei partiti, perché sapevano già che mai avrebbero votato per gli altri. Essere di sinistra, come conferma Michele Serra, era per sempre, come un diamante. E immagino anche essere di destra. 

Se chiedete ad un abitante degli Stati Uniti, probabilmente vi dirà che talvolta ha votato democratico, talvolta repubblicano. 


Ripeto: chissà quale strategia sociale è migliore? Io ho l'impressione, da semplice lettore di notizie, che anche in Italia siamo stanchi di essere elettori a vita della stessa compagine. Servirà tempo per giudicare.

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