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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Cronache da un'assemblea

Giovedì scorso ho seguito la prima parte dell'assemblea di cui vi ho parlato precedentemente. Partecipazione non da concerto a San Siro ma soddisfacente nonostante la nevicata confindustriale e imperialista che ha colpito la Lombardia con tempismo sospetto (sto facendo ironia, ovviamente), ambientazione post-industriale tipica della Bicocca, invitati motivati e competenti. Eppure...

Eppure mi è rimasta una sensazione di straniamento (tra parentesi, il mio Mac corregge straniamento in stracciamento, suggerendo un'interpretazione maliziosa). Il professor Giuseppe De Nicolao (Università di Pavia) ha fatto un discorso straordinariamente informato e informante (ne potete leggere alcuni contenuti sul suo blog); poi ho ascoltato i rappresentanti di varie sigle sindacali e d'associazione.
Perché straniamento? Perché ne sono uscito con la sensazione che il tempo si fosse fermato. Al 2010. Siamo qui a dimostrare, dati alla mano, che le affermazioni degli ideologi (Perotti, Zingales, Giavazzi, ecc.) sono ideologiche e non oggettive. Siamo qui a dire che, se non si inverte la rotta, il sistema della pubblica istruzione rischia il collasso.
Diciamo ancora queste cose, cazzo!

Scusate il francesismo che mi è venuto spontaneo, ma possibile che non siamo nemmeno usciti dalla fase della negazione del lutto? Perché ci roviniamo le tonsille per urlare che c'è un disegno politico teso alla privatizzazione dei saperi?
La risposta più gentile è che siamo troppo ingenui: confidiamo nella buona fede dell'interlocutore. Non siamo rassegnati alla constatazione che nessun politico cambia idea, se non in presenza di un'utilità. Non saranno i dati di De Nicolao, pur giusti, a far cambiare idea alle lobby che premono per la moltiplicazione delle università gestite dai privati: la loro strategia di gioco prevede questo, e solo un ingenuo può sperare che gli appelli alla libera ricerca li fermeranno, perché non è un film dove il bene trionfa.

Ecco, a proposito: a forza di contrastare le ideologie, stiamo negando che la politica sia strategica. Quando i rappresentanti dei movimenti della scuola affermano che la strada intrapresa è sbagliata, stanno formulando un giudizio politico tanto quanto quello di Perotti. Detto brutalmente: spingere l'Italia verso un futuro da camerieri (come è stata giudicata la proposta di investire tutto sul turismo) non è uno sbaglio, ma una scelta strategica.
Per dire, a posteriori, se sia sbagliata, occorre fissare la funzione di utilità. Perché io conosco camerieri molto più realizzati professionalmente di tanti dottori di ricerca. E allora?

Dice: dobbiamo portare queste assemblee fuori dalle mura delle università, e coinvolgere la gente. Già, la gente. E se scoprissimo, ahinoi, che la gente condivide la strategia iniziata dalla riforma Gelmini? Ma, ammesso che la gente si schieri per una decisa inversione della tendenza, basterà?

La strategia economica dei Paesi occidentali non è mai stata decisa dalla gente, cioè dagli elettori. In un sistema di libero mercato, sono i potentati economici ad indirizzare la politica. E in Italia non ricordo governi tanto forti da imporsi sui centri del potere economico.

Ho scritto tutto questo di getto, e potrei essere frainteso. Io caldeggio un ritorno degli investimenti pubblici nella ricerca, almeno ai livelli delle nazioni europee simili alla nostra. Ci mancherebbe.
Resta il fatto che avremmo dovuto elaborare il lutto da anni, e realizzare che serve a poco fare le pulci alle affermazioni propagandistiche degli avversari. À la guerre come à la guerre, loro lo sanno bene. Noi forse no.

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