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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

"Lo studente Gerber", di F. Torberg



Acquistato dopo averne letto la recensione de il manifesto, sono riuscito a terminare la lettura soltanto dopo tre settimane. Pubblicato dall'editore trentino Zandonai, questo romanzo dello scrittore viennese (di origini praghesi) Friedrich Torberg si è rivelato ben presto in tutta la sua seducente pericolosità. Sembra un romanzo di formazione, quella dello studente Kurt Gerber citato nel titolo, ma diventa una discesa agli inferi senza freni. Nel breve volgere del quinto anno di scuola superiore (siamo all'inizio degli anni '30, immediatamente prima dell'avvento del nazionalsocialismo, e dunque in piena epoca di decadenza), la normalità dell'esistenza di un ragazzo intelligente è stravolta dall'arrivo del nuovo professore di matematica e geometria descrittiva (nonché coordinatore di classe) "dio" Kupfer.

Professore fra i più famosi del Regio Ginnasio, autore di una fondamentale opera in più tomi sulla geometria descrittiva, Kupfer si insedia preceduto dalla fama di aguzzino spietato e privo di compassione. Il suo massimo godimento è l'umiliazione degli studenti, e ovviamente la bocciatura definitiva alla maturità.
La classe di Gerber è sotto choc, tutti speravano di concludere il ciclio di studi senza mai incontrare il mastino sanguinario Kupfer. Persino alcuni colleghi lo temono e, senza mai prendere apertamente posizione, ne criticano il comportamento.

Kurt Gerber scivola velocemente verso l'insufficienza nelle due materie di Kupfer, e il padre minaccia di spostarlo in un'altra scuola. Ma Kurt si ribella, promette di farcela perché ha tutte le capacità. Intanto il mastino sanguinario infierisce sui più deboli, li interroga fino all'umiliazione, distribuisce insufficienze e giudizi sprezzanti.

Ma Gerber ha altro per la testa: forte della giovane età, si invaghisce di Lisa, compagna di classe che ha deciso di interrompere gli studi per lavorare in un negozio. Lisa è la tipica ragazza di cui ogni ragazzo si innamora: bella, solare, brillante, estroversa. Sembra cedere al corteggiamento di Kurt, ma mantiene una certa distanza che deprime il ragazzo, facendone crollare l'autostima. Gerber non riesce a tenere sotto controllo sia la scuola che i sentimenti, e incappa in alcune alzate di testa che lo espongono alla furia di "dio" Kupfer.

Non parlerò oltre della trama, perché questo è un libro che suggerisco di leggere. Evidentemente non ci sarà lieto fine alla moda di Hollywood. Piuttosto, preferisco spendere qualche riga di osservazioni.
Innanzitutto, dobbiamo pur sempre ricordare che si tratta di finzione. Ma l'atmosfera nei veri Regi Ginnasii doveva essere molto simile: una disciplina ferrea, un'etichetta quasi da caserma, i professori che usano il "lei" con gli studenti, i genitore degli studenti che si rivolgono ai "signori professori" in terza persona singolare ("Il signor professore ha giudicato negativamente mio figlio. Posso chiedere al signor professore se Egli ritenga che abbia bisogno di prendere lezioni private?"), ma soprattutto l'idea che non esista discrimine fra scuola e vita.

Ecco, credo che quest'ultimo legame sia poco comprensibile per noi italiani del 2013. A noi suona assurdo che un voto insufficiente, o anche una bocciatura, possano impedire ad un giovane di cercare lavoro come funzionario pubblico. E che, più generalmente, il curriculum scolastico resti un marchio indelebile sulla pelle di un uomo (o di una donna). Nel libro di Torberg è invece così, fallire a scuola è fallire nella vita, è perdere il rispetto dei genitori, è la condanna ad una vita di mediocrità. Solo alla luce di questa osservazione si spiega l'epilogo del romanzo, in tutta la sua ironia tragica.

La visione dell'autore è cupa e senza speranza: gli aguzzini vincono sempre, pur essendo essi stessi molto più meschini delle loro vittime. "Dio" Kupfer, onnipotente nel palazzo scolastico, è un essere insignificamente nella vita privata: chiuso nelle stanze di un appartamento rilevato da una vedova di guerra, non esercita alcuna influenza sul prossimo. Il suo potere, superato l'uscio della scuola, semplicemente non esiste; e proprio per questo si fa mastino sanguinario, per vendicarsi di una società che non lo apprezza e anzi lo emargina.
Kupfer è una caricatura, una maschera tragica che non distingue più fra realtà e copione. Dall'alto della sua conoscenza della geometria descrittiva, è infinitamente più stupido di tutti gli studenti che ha umiliato e respinto. Eppure, nell'ultima pagina del libro, vincerà lui, pur perdendo.
La morale di Torberg è agghiacciante: chi è vittima resterà vittima, chi è aguzzino ucciderà la vittima.

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