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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

"La casa della festa", di C. Palazzolo

In questi giorni di influenza, antibiotici, tosse e aerosol al cortisone, mi sono deciso a concludere la lettura di un romanzo acquistato per caso, sull'onda di una segnalazione. La casa della festa, che ho acquistato usato nell'edizione Marsilio del 2000, era descritto come un racconto di grande atmosfera, ambientato in una misteriosa casa romana. Dell'autrice, purtroppo deceduta prematuramente lo scorso anno, ignoravo perfino l'esistenza. E così mi sono immerso nella lettura.

La trama è pressoché ineffabile: c'è questa festa, fra persone della Roma-bene, dedicata all'esordio letterario di un giovane scrittore. E poi scoppia il caos. Nel senso che il libro diventa confuso, barocco, scritto nel perfetto stile accademico di troppi autori nostrani. Costoro non possono essere soddisfatti se non utilizzano i termini più pomposi per sentirsi superiori (chi diavolo direbbe mai "una casa invasata"?). I dialoghi reali e i pensieri dei personaggi si susseguono senza pause, rendendo incomprensibile una chiara percezione dei fatti raccontati. E i personaggi sono tutti odiosi, snob, beceri arricchiti e maleducati. Il lettore non riesce a solidarizzare con alcuno di loro, e a me sembra il peggiore sbaglio di un romanziere: leggere duecentocinquanta pagine sentendosi un estraneo disinteressato è sfiancante.
E poi, a un certo punto, sembra apparire un fantasma. Evvai, dico mentalmente, finalmente ci si diverte! E invece no, non ci sono fantasmi e non è una storia gotica come la quarta di copertina suggerisce. C'è però un mistero, abilmente pompato dalla critica. A questo punto vorrei aprire una breve parentesi: tanti anni fa il celebre racconto The dead di James Joyce mi aveva incuriosito proprio perché sembrava che ci fosse un fantasmagorico e sconcertante colpo di scena finale. Confesso che il titolo macabro mi attirava, ma la delusione fu forte: io mi aspettavo qualcosa di simile a The others di Alejandro Amenábar, e invece era una palla mostruosa e incomprensibile.
Chiusa parentesi.

Comunque ecco, questo romanzo mi ha lasciato la medesima sensazione di presa per i fondelli: se mi viene detto che uno dei personaggi di un romanzo americano ha un oscuro segreto, come minimo salta fuori che ha sciolto nell'acido la famiglia e adesso cerca nuove vittime in una nuova città. Qui sapete qual è il grande segreto, il colpo di scena? Che uno dei personaggi sta morendo per una malattia all'ultimo stadio, e decide di accorciare le sofferenze gettandosi dalla finestra. È gotico tutto questo? A me non sembra.

In conclusione, sono sollevato perché almeno l'ho pagato poco.

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