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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Recensione: "Il trasloco", di G. Simenon



Libro piuttosto raro, che ho trovato per puro caso sulle bancarelle della Fiera del Libro di Como. Quando ho visto il prezzo, otto euro, non me lo sono lasciato sfuggire. È un vero peccato che Adelphi non abbia mai proposto ai lettori italiani un'edizione aggiornata di questo piccolo capolavoro.

Come recita il risvolto di copertina, è un romanzo piuttosto eccentrico nella produzione del grande scrittore belga. Ma ciò non significa che sia di qualità inferiore alla media, tutt'altro. Ecco, in breve, la trama: Emile Jovis, direttore di un'agenzia di viaggi parigina, trasloca dalla città in un "lotto" di nuovissima costruzione dalle parti dell'aeroporto di Orly. Con lui la moglie Blanche e il figlio adolescente. Nel nuovo quartiere, il cui nome Clairevie sembra uscito dalla mente di un piazzista, non è facile ambientarsi; una schiera di palazzi anonimi si sussegue fra l'autostrada e la ferrovia, solo un supermercato per fare la spesa e tanti cantieri ancora aperti.
Ma Emile è fiero di aver acceso un mutuo quindicinale per il nuovo appartamento, lasciandosi alle spalle le tappezzerie sporche e gli odori di chiuso della vecchia casa in centro. La moglie, sottomessa e insicura, lo accondiscende con un velo di tristezza, mentre il figlio sfodera la tipica aria ribelle di quell'età. Ci vorrà un po', si dice Emile, e tutto andrà bene.
La notte, mentre Blanche crolla nel sonno "delle persone che sanno di aver fatto il proprio dovere", Emile si sente inquieto, teme di aver imposto alla famiglia la propria ricerca della felicità. E intanto, nell'appartamento a fianco, un uomo e una donna si accoppiano come animali, coprendosi di insulti e di sconcezze.
Emile ne è turbato, ma anche attratto. Grazie ai muri sottili, riesce a cogliere buona parte dei discorsi che i vicini fanno in piena notte. Tutto sembra irreale, a partire dal gergo usato, un gergo da malavita.

Emile si sforza di vivere come sempre, ma il confronto con la ricchezza ostentata dai vicini di casa insinua nella sua testa il tarlo dell'inadeguatezza. Ed ecco l'abituale crisi simenoniana: Emile vuole appartenere, o almeno sperimentare, il mondo sordido dei vicini; ne ha paura, ma sappiamo che la paura attrae come una calamita. Il figlio di Emile diventa amico del figlio dei vicini, e il gioco è fatto: l'uomo gestisce un locale notturno nei pressi degli Champs Elysées. Il mite Emile si butta: una sera, con un pretesto, evita di restare a casa ed entra nel locale ambiguo. Inizia un incubo, fatto di baristi equivoci, spogliarelliste e ballerine discinte, whisky e musica.
Emile si fa adescare, senza peraltro opporre troppa resistenza, da una ballerina; le lascia quattrocento franchi e torna nel locale. Il vicino di casa, fermo sulla porta, lo osserva minaccioso, senza rivolgergli la parola.
Ormai Emile è terrorizzato e, al tempo stesso, eccitato. Crede che tutto sia una trappola ordita ai suoi danni, immagina che il proprietario del night abbia capito tutto e tema un ricatto. All'ora di chiusura, due spogliarelliste lo accompagnano alla porta e lo buttano sul marciapiede, completamente ubriaco. Ma non c'è salvezza, come non ce n'è quasi mai nei romanzi di Simenon: Joris crede di essere falciato da una mitragliatrice, e invece è stato investito da un'automobile, e prima di spirare per le ferite ripensa, per un'ultima volta, alla moglie e al figlio. "Saranno davvero felici?"

L'eccentricità di questo romanzo, scritto nel 1967 da un Simenon già attempato, è la cesura fra una prima parte lenta e opprimente e una seconda parte quasi indiavolata. I capitoli ambientati nel locale notturno sono degni del miglior racconto di suspense, e la conclusione lascia tanta amarezza. Perché  la realtà è peggio dell'immaginazione: Emile è un essere talmente insignificante che nessuno ha mai pensato di far sparire. Tutta la sua esistenza ha il marchio della mediocrità, perfino i suoi voti alti a scuola e la sua carriera in agenzia. Dopo una vita banale, la peggior punizione può essere solo una morte altrettanto banale, investito da un'auto mentre barcollava ubriaco fuori da un night.

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