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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Quante ore mancano?

Quando ero un giovane studente liceale, avevo sviluppato un gioco per reprimere le mie ansie: quando dovevo sostenere un compito in classe particolarmente impegnativo, calcolavo il numero di ore che mi separavano dall'inizio della prova. Una volta arrivato a meno di ventiquattro, mi autorizzavo a cedere alla preoccupazione. Particolarmente nitido è il ricordo delle domeniche prima di un compito in classe, che scorrevano lente e angoscianti fra ripassi e rimpianti per non essere andato a giocare a basket con gli amici.

Questa settimana inizia il primo corso che terrò, a metà con una mia collega, agli studenti della laurea magistrale in matematica. Ormai insegno da sette anni, ma prevalentemente a studenti con poche aspettative matematiche e a livello introduttivo. Perciò mi sento decisamente ansioso.
La mia unica esperienza con gli allievi matematici risale ad un ciclo di esercitazioni di Analisi 3 (calcolo integrale in più variabili, teoremi del calcolo vettoriale, ecc.) tenuto quando ancora ero un assegnista. I miei ricordi non sono consolanti, avevo la sensazione che quegli studenti mi volessero sbranare, e che le mie esercitazioni fossero talmente banali che la platea sarebbe crollata addormentata. Quindi oggi mi chiedo se le lezioni che sto preparando siano adeguate, non troppo difficili ma nemmeno troppo facili.

Certo, l'argomento del corso - Analisi non lineare - dovrebbe aiutarmi, essendo in ultima battuta il mio terreno. Ma ho scoperto di non aver mai studiato la dimostrazione di qualche teorema che dovrò raccontare (un conto è applicare il teorema di immersione di Sobolev, un conto è ricordarne la dimostrazione), quindi posso dire che imparerò insieme ai miei studenti se non i contenuti, almeno alcune tecniche e alcune idee. Poi, in un accesso di masochismo, ho deciso di parlare dell'equazione di Schrödinger, quella vera con il tempo, mica quella stazionaria che facciamo noi analisti non lineari! Un'ottima occasione per studiare, ma anche un lavoro non banale.

Insomma, mancano pochi minuti alle 13 di domenica, e sono qui a rileggere i sacri testi sugli spazi di Sobolev e le note di un corso DEA di Ginibre, in francese. Mi sembra di essere tornato sui banchi di scuola, nonostante i capelli bianchi e gli scricchiolii delle ginocchia. Un attimo, devo contare le ore che mi separano dalla prima lezione...

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