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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Is New Math actually Old Math?

La mia recente esposizione alle problematiche dell'insegnamento agli insegnanti mi ha spinto a documentarmi su alcune questioni didattiche. Ieri, per esempio, ho letto alcuni articoli sull'insegnamento della trigonometria. Ovviamente conosco la trigonometria piana, l'ho studiata per taaaaanti mesi in quarta liceo, e uso quotidianamente seni, coseni e tangenti (niente battutacce, per favore). Ma confesso che non ricordo più come io stesso sia stato introdotto alla trigonometria.
A livello elementare, ci sono due approcci (evidentemente equivalenti, va da sé) alle funzioni goniometriche: quello mediante la geometria dei triangoli rettangoli, e quella mediante la geometria dei trian…. ops, scusate: volevo dire quella mediante il punto mobile sulla circonferenza unitaria.
Entrambi hanno vantaggi e svantaggi, ma non è questa la sede per discuterne. Il punto è: quale approccio mi è stato mostrato, quando ero studente? Francamente non mi ricordo affatto.

"So' probblemi", direbbe qualcuno. Ovviamente non per me, ma per un aspirante insegnante di scuola sì. A voler essere un po' nichilisti, quello che uno scienziato usa concretamente, della trigonometria, è solo l'esistenza di alcune funzioni che soddisfano alcune (poche) regole caratterizzanti. E, a dispetto della banalità dell'affermazione, siamo già arrivati alla definizione delle funzioni goniometriche che si leggono nei testi di ispirazione vagamente bourbakista (in Italia, un nitido esempio di questa trattazione appare nel testo di Analisi Matematica di Giovanni Prodi, edito da Bollati Boringhieri). Secondo questa scuola di pensiero, seno e coseno sono le uniche due funzioni continue che realizzano un certo omeomorfismo ecc. ecc. Il numero $\pi$ è semplicemente il più piccolo numero positivo che annulla la funzione seno. 

Certo però che qualunque insegnante di scuola preferirebbe un attacco di gastroenterite alla prospettiva di insegnare la trigonometria in questo modo, giusto? Ve li immaginate i sedicenni che usano la compattezza dell'insieme $S^1 \subset \mathbb{R}^2$ per definire PI Greco? Forse in un film dell'orrore...

E questo ci porta alla lungamente dibattuta storia del progetto New Math. Se siete curiosi, cliccate sul link precedente. In breve, questo progetto fu sviluppato negli Stati Uniti nel decennio 1960, con lo scopo di riformare l'insegnamento della matematica nelle scuole e di sviluppare le capacità matematiche della popolazione. C'era sotto la solita, trita, Guerra Fredda, ovviamente, che poi era molto spesso invidia penis
Comunque, fu una cocente sconfitta: i libri di testo scritti da matematici professionisti vennero presto dimenticati, e tornarono in auge i manuali scritti da oscuri insegnanti, sovente privi di una cultura specialistica ma carichi di esperienza didattica.

Ralph A. Raimi propone alcuni commenti molto interessanti in un articolo disponibile sulla sua pagina web. Molto gustosi sono i paragoni fra il fallimento della New Math e quello del marxismo, sebbene un po' banali.

Io sono totalmente inesperto di questioni didattiche, epa mia naturale tendenza all'astrazione e all'opera di cesello di sapore bourbakista non fa di me la persona migliore per insegnare a livello scolastico. Quello che invece posso affermare è che, o di riffa o di raffa, la matematica cosiddetta elementare deve essere insegnata. Pare che, dopo decenni di torture trigonometriche per quasi l'intero quarto anno di liceo, adesso la trigonometria sia stata relegata nell'angolo delle nozioni superflue. Forse un pedagogista potrà argomentare dottamente sulle opportunità di questa scelta, ma io, che poi mi ritrovo gli stessi giovani sui banchi dell'università, scopro che costoro ignorano le formule di prostaferesi e di Werner, non comprendono le sostituzioni razionalizzanti per il calcolo degli integrali perché non hanno mai visto le espressioni di $\sin x$ e $\cos x$ in funzione di $t=\tan \frac{x}{2}$.

A quel punto, che fare? Lascio stare o lavoro il doppio? Riconosco che la scuola italiana ha buttato l'acqua con il bambino sporco (storpiatura assai efficace di un noto proverbio, coniata da un mio amico) e accorcio il programma, oppure mi impicco per dire tutto e colmare le lacune? E poi: perché l'evoluzione della didattica italiana marcia sempre nella direzione dell'ignoranza rispetto al passato? Mio nonno, a ottant'anni, aveva nozioni di storia apprese nella scuola elementare di Cunardo (dal mitico maestro Magadini, con una mano sola che usava per tirare bacchettate) fra il 1919 e il 1925 che mi lasciavano a bocca aperta. Oggi bisogna alleggerire, gli zaini certamente e le menti probabilmente.

Da tutte queste letture ho capito poche cose, ma credo significative. La più importante è che il mestiere d'insegnante è tanto difficile perché serve fingere di avere una mente che non abbiamo più. Serve regredire all'età dei propri studenti, e parlare loro secondo ragionamenti che abbiamo rimpiazzato con percorsi mentali avanzati: le famose matematiche elementari da un punto di vista superiore.
Un'altra cosa è che la padronanza e finanche la maestria in una disciplina non implicano la capacità di trasmettere le conoscenze, cioè di insegnarle. Ho avuto insegnanti indiscutibilmente preparati, magari anche abituati a lavorare all'università come docenti a contratto, che proprio non sapevano spiegare a livello scolastico. Io probabilmente sarei come loro, e non ho problemi ad ammettere la mia debolezza. Come diceva Freud, tutto risale all'infanzia: essermi innamorato della matematica dopo i sedici anni mi ha obbligato a ricostruire quasi da autodidatta le nozioni più elementari di aritmetica e geometria. Ma ormai ero rovinato: quando ti dicono che $$e^{i\theta} =\sum_{n=0}^{\infty} \frac{(i\theta)^n}{n!},$$ è troppo tardi per le definizioni "scolastiche" di seno e coseno. Anche facendo uno sforzo, non si capisce perché sprecare il proprio tempo a definire male e faticosamente quello che le matematiche superiori definiscono elegantemente. 
Il trauma infantile si è compiuto, e non si guarisce più. 

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