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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Presi in giro

Parlando con un amico insegnante, è emerso un tema che sembra essere di grande attualità: la diffusione delle ridicolizzazioni online dei professori.

Quando andavo a scuola, dalle medie all'università, ho avuto tante occasioni per scherzare con i compagni di classe sui miei professori. C'era la professoressa che parlava in dialetto calabrese anche quando leggeva le poesie latine, c'era il professore con il tic linguistico del "tendenzialmente", c'era la professoressa che vedeva poco e avvicinava il vocabolario al naso per mettere a fuoco le parole. Insomma, volavano battute cattive e commenti sarcastici sui nostri avversari. Già, perché i professori erano e saranno sempre avversari sul cammino di maturazione di ogni studente: che ci piaccia o no, tutti noi abbiamo assorbito qualcosa dei nostri insegnanti, in un processo di imprinting ineluttabile.

Tutto quello che ho descritto accadeva fra le quattro mura di un'aula, e comunque in una cerchia di ragazzi e ragazze relativamente limitata. Oggi è tutto diverso, come diceva questo mio amico. Oggi gli studenti scrivono le stesse battute sarcastiche sui social network, e li rendono immediatamente visibili ad un numero illimitato di utenti. E nessuno è immune da questo fenomeno: non mi interessa particolarmente, ma sono certo che i miei studenti si fanno beffe del mio modo di esprimermi, del mio aspetto fisico, dei miei atteggiamenti alla lavagna, del mio abbigliamento. Fanno esattamente quello che facevo io, solo che lo fanno pubblicamente.

La letteratura e le cineteche abbondano di esempi di esposizione al pubblico ludibrio per educatori ed insegnanti. Una conoscente ha fatto rimuovere un video registrato a sua insaputa durante una lezione; ovviamente non c'erano gli estremi per un'accusa di diffamazione o di stalking, ma la questione della riservatezza della propria immagine è importante.

Ma è importante, per noi insegnanti, saper stare al gioco, a patto che di gioco si tratti. Non è grave una caricatura dell'accento o del modo di vestirsi, e addirittura una reazione sproporzionata può alimentare il fenomeno ed ingigantirlo. A ben guardare, la cattedra è un piccolo palcoscenico sui generis, dove il docente si esibisce e cerca di catturare l'attenzione del pubblico (quasi sempre pagante, detto per inciso).

Molti colleghi si adoperano per spiare le attività dei propri allievi sui network sociali, ma lo ritengo un comportamento vagamente morboso. Non capisco se sperino di leggere qualche commento o se sperino di non leggere alcun commento. Forse, come gli attori, anche gli insegnanti hanno bisogno di sentirsi sotto la luce dei riflettori, nel bene e nel male.

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