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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

La madeleine

Febbraio è stato un mese faticoso. Forse più nella mia percezione che nella realtà, ma in fondo quello che conta è proprio la percezione. Fatto sta che oggi, 1 marzo, ho deciso di rinunciare al consueto pendolarismo per rilassarmi almeno un giorno. Invece di sacrificare un'ora al viaggio verso Milano, sono uscito a fare una passeggiata.


Mentre camminavo, sono certo di aver sperimentato il sentimento della madeleine. Avete presente, vero? Marcel Proust, con la sua bella brioscia in mano (questa è una citazione molto raffinata che solo gli antichi lettori del settimanale satirico Cuore possono capire), era travolto dal ricordo del passato e ci propinava la lettura di una decina di tomi sulla ricerca del tempo perduto. Tranquilli, io scriverò solo questo post.


Che cosa stavo dicendo? Ah sì, la brioscia. Mentre camminavo per via Matteotti, la via dello struscio canturino, incrociavo tante mamme con i passeggini e qualche studente bigione. Nel tepore inaspettato di questa giornata di sole, ho ricordato le mattine della mia infanzia e della mia adolescenza, quando non c'era scuola e potevo godere dello stesso sole. Ho ricordato i negozi dove andavo, quelle sensazioni di piacere misto a sorpresa. La primavera  fa questi scherzi, che complessivamente sono piacevoli. Ma lasciano anche un senso di instabilità, perché ci spingono a riflettere su quello che volevamo essere e su quello che siamo diventati.


A volte mi domando perché ho voluto essere un matematico professionista. Non è un mestiere facile, e non nell'accezione vagamente ipocrita di chi confronta il lavoro "intellettuale" con quello manuale. Secondo me è un mestiere difficile perché richiede una fortissima disciplina. Anni fa ho conosciuto una persona molto in gamba, che avrebbe senz'altro potuto fare una carriera nella ricerca scientifica; eppure ha preferito un lavoro più regolare, con un cartellino da timbrare. Un matematico alterna spesso periodi relativamente tranquilli, dedicati alla ricerca di nuovi spunti e alla lettura di articoli scientifici, a periodi molto stressanti, fatti di ore davanti ad un foglio di carta pieno di formule che sembrano sempre sbagliate. È molto frequente che il matematico si addormenti sul divano dopo un pomeriggio di scervellamento, e al momento di andare a letto si ritrovi con un'idea che non può farsi sfuggire; ed allora si ricomincia, magari a mezzanotte, a verificare se l'idea è quella giusta.


Quando parlo con amici che hanno impieghi "normali", spesso sono trattato come un privilegiato. Certo, ho orari di lavoro flessibili e nessun boss che mi perseguita con le sue assurde richieste. Ma il fatto di portare con sé il proprio lavoro, giorno e notte, estate ed inverno, può essere un fardello scomodo.

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