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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

Vanno, vengono, a volte ritornano: le nuvole informatiche

La notizia era probabilmente attesa: la maggior parte dei siti di file sharing (non sto parlando del Peer-To-Peer, ma di quei siti come Megaupload, Filesonic, Fileserve, ecc. che permettono di scambiare file di grandi dimensioni) sta chiudendo, o comunque sta rimuovendo a ritmo forsennato i materiali che odorano di pirateria. Checché se ne dica, tutte le lamentele appaiono giuridicamente pretestuose: il 99% degli utenti, regolari o saltuari, di quegli "armadietti informatici" cercava di scaricare materiale coperto da diritti d'autore. Fossero film, telefilm, libri, software, poco importa. Qualcuno dice che il mondo è cambiato, e il diritto d'autore non ha più alcun senso: può essere, ma le leggi devono essere rispettate finché non cambiano. Altri dicono che i prezzi dei cinema e dei libri sono eccessivi, dunque (?) è legittimo e doveroso espropriare gli autori dei loro diritti intellettuali. Personalmente sono scettico sull'uso di quel "dunque", sebbene la mia opinione personale è che la trasformazione della cultura da patrimonio comune a business sia una delle peggiori malattie degli ultimi decenni. Mio nonno mi raccontava che, nella sua Cunardo degli anni '20 (cent'anni fa, vi rendete conto?), gli spettacoli teatrali erano affollati e gratuiti; c'era una compagnia teatrale che recitava per passione e contribuiva all'educazione di una popolazione ancora largamente contadina e semi-analfabeta. Oggi, dopo un secolo, discutiamo di abolire le biblioteche perché non producono guadagni. E per chi dovrebbero essere un affare? Perché?

Tuttavia non voglio parlare di questo: voglio parlare di quel misero 1% di utenti della rete internet che utilizzavano i siti di filesharing per scopi leciti, e magari avevano anche un abbonamento. Certo, poca gente: ma più dei numeri mi interessa il principio. Perché, a bene guardare, la morale di tutta questa (bella o brutta) storia è una sola: possiamo davvero fidarci della nuvoletta (cloud) informatico? Non passa settimana senza che gli economisti del Corriere della Sera si lagnino per lo scarso successo del cloud computing nella piccola e media impresa. Poi, curiosamente, salta fuori che il Bureau (FBI) può far scomparire per sempre i miei dati, se qualche utente malizioso ha deciso di archiviare un film sulla stessa piattaforma. Certo, sospetto che qualche corte federale finirà per ripristinare un minimo di diritto: sarebbe pensabile che tutti i risparmi degli investitori svanissero nel nulla perché fra i clienti di una banca c'era un trafficante di armi? Ovviamente no, e sono quasi certo che questo nuovo maccartismo durerà lo spazio di qualche mese.
Eppure il problema si pone: se devo mettere i miei dati, cioè il mio business, in un archivio on-line, pretendo giustamente di essere assicurato e tutelato. I veri paranoici del web sanno bene che la miglior forma di tutela dei propri dati è un backup ridondante in locale, cioè sul proprio hardware. D'accordo, il mio disco esterno potrebbe essere distrutto da un frammento di meteorite, ma i fatti recenti suggeriscono (ironicamente) che sia più rischioso affidarsi ai professionisti del settore. Non possiamo nemmeno dimenticare che, in aggiunta ai danni materiali che la perdita dei propri dati può causare, c'è sempre il rischio della fregatura. Ricordo ancora l'incazzatura (scusate il francesismo) dei centinaia di utenti che avevano pagato 99 dollari per un account me.com di Apple; ebbene, dalla sera alla mattina, Apple ha deciso di regalare un account da tot Gb a tutti i possessori di un computer/telefono/tablet Apple! Sapeste che gioia scoprire di aver buttato nel gabinetto 99 dollari...

Ma so che la vostra curiosità è più spicciola. Vorreste sapere se io facessi uso di questi siti. Da utilizzatore finale (copyright) sì. Da uploader, no. Ho utilizzato Megavideo per rivedere qualche vecchio telefilm (quelli nuovi mi piacciono poco, e li replicano regolarmente in televisione), e mi spiace che non potrò più farlo. Poiché i DVD di qeuste serie sono introvabili, non potrei nemmeno pagare il giusto prezzo: questo è un vecchio discorso che si riallaccia a quello dei libri fuori catalogo. Non posso fotocopiarli perché sarebbe un reato, ma non posso comprarli perché l'editore ha deciso che non me li vuole vendere. La soluzione sarebbe semplice: una legge che obbligasse l'editore a restituire all'autore i diritt, così che questi possa eventualmente trovare un'altra casa editrice interessata alla ristampa. Poiché la soluzione è banale, sono sicuro che verrà immediatamente scartata.

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