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Riflessioni sull'insegnamento

  Corrono tempi alquanto peculiari nell'ambiente universitario. Bisogna premettere, doverosamente, che l'accademia italiana è stata a lungo un territorio vetero-feudale, cioè governato in larga misura dall'operato dei singoli docenti. Per essere concreti, tutti abbiamo sentito parlare dei famigerati professori "che non promuovevano nessuno", o di quelli che "passavano tutti al primo appello." In queso senso, i corsi di laurea avevano una trama comune piuttosto sfilacciata. Oggi tutto sta cambiando, e piuttosto velocemente. Dall'alto (nel senso di: governo, Europa, Mondo, Universo) arrivano pressanti richieste di trasparenza e omogeneità. Se un docente del 1985 poteva permettersi di insegnare praticamente ciò che voleva all'interno dei suoi corsi (con qualche vincolo, ma non troppo stringente), oggi si respira un'aria di regolamentazione sempre più forte. Questa regolamentazione non tocca, almeno in prima battuta, i contenuti degli insegnament

L'insostenibile leggerezza dei programmi universitari

Ho iniziato a studiare matematica nell'ottobre del 1993. Bei tempi. Ma non divaghiamo: in quattro anni di laurea (vecchio ordinamento) e quattro anni di Ph.D. mi sono fatto un'idea dell'approccio all'insegnamento della matematica moderna. Schematicamente, mi sembra che potremmo procedere così:
  1. Insiemistica varia e cenni di logica proposizionale
  2. Strutture algebriche fondamentali (gruppi, campi, insiemi ordinati, spazi vettoriali, ecc.)
  3. Topologia generale e strutture lineari topologiche
  4. Analisi matematica (successioni in uno spazio metrico/topologico, funzioni continue, funzioni differenziabili, integrazione secondo Darboux, ecc.)
  5. Funzioni a valori vettoriali, varietà differenziabili, geometria di curve e superfici
  6. Teoria della misura astratta e integrazione
  7. Analisi funzionale lineare.
Riconosco di essere bourbakista, e quindi ho un approccio centrato sull'analisi matematica. Ma lo schema precedente può e deve essere completato ed arricchito.

Il vero incubo che perseguita chiunque debba insegnare matematica nell'università riformata dal 3+2 è che questa sequenza ormai stabile e ragionevole viene sistematicamente trasformata in una struttura quasi caotica di argomenti e insegnamenti. Che senso ha il calcolo differenziale senza sapere le basi della topologia, anche solo degli spazi metrici? Possibile che una funzione di due variabili sia un oggetto venerabile, mentre una funzione di tre variabili sia un mostro minaccioso? Perché le derivate parziali sembrano idee indipendenti, quando sono soltanto derivate direzionali scelte per convenzione? Non sarebbe più istruttivo che gli studenti imparassero a lavorare con norme diverse in $latex \mathbb{R}^n$? Al secondo anno di matematica ho imparato che tutte le norme di uno spazio vettoriale finito-dimensionale sono equivalenti. Eppure sono sopravvissuto e ho pure preso 30 e lode in Analisi 2.

Oggi, a pranzo, a momenti mi strozzavo: ho saputo che a Pisa, qualche anno fa, hanno deciso di fare un corso di calcolo (differenziale ed integrale) in cui nessuno definiva mai la derivata, ma tutti calcolavano derivate come se piovesse. A parziale attenuante, il corso era seguito da un altro di analisi matematica rigorosa. Mi resta comunque l'atroce sospetto che a nessuno importi davvero di laureare persone consapevoli e critiche. Basta il pezzo di carta, e fuori anche a pedate.

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